Archivio Articoli prodottida membri O.T.O.D.I.

Lesione della cuffia dei rotatori, i vantaggi della chirurgia

Dal “New England Journal of Medicine”

Una volta compensati i costi diretti, l’intervento offre unnotevole risparmio in termini di costi indiretti in tutte le fasce di età

Il trattamento chirurgico delle lesioni della cuffia dei rotatori garantisce un vantaggioeconomico a lungo termine rispetto al trattamento non chirurgico: è quanto emerge da un nuovostudio apparso sulla rivista “Journal of Bone and Joint Surgery” ( JBJS) a firma di Richard C.Mather, del dipartimento di Chirurgia ortopedica della Duke University a Durham, e colleghi didiversi istituti degli Stati Uniti.

Il nuovo studio offre una panoramica completa dell’impatto sociale della lesione della cuffiadei rotatori e dei suoi possibili trattamenti. Raccogliendo un’ampia messe di dati dallaletteratura e dai database del sistema sanitario Medicare degli Stati Uniti, gli autori hannopotuto quantificare, per le diverse opzioni di trattamento chirurgico e non chirurgico, i costidiretti e indiretti, compresi i costi dei trattamenti medici e fisioterapici, i giorni di lavoropersi per disabilità e l’impatto sul reddito familiare di pazienti di età compresa tra 30 e 80anni.

Dall’analisi statistica dei dati è emerso che l’intervento chirurgico ha un favorevoleprofilo di costo/efficacia in tutti i gruppi di età di pazienti. Una volta compensati i costidiretti del trattamento chirurgico, si ottiene un risparmio medio di 13.771 dollari per i pazientidi età inferiore ai 61 anni e addirittura di 77.662 per i pazienti di età inferiore ai 40 anni (lavalutazioni sono riferite alla realtà sanitaria statunitense).

“Una lesione della cuffia dei rotatori può colpire chiunque chiaramente, ma il rischioaumenta con l’età: gli oneri sociali connessi a questo problema sanitario sono significativi,considerando il suo impatto sulla capacità lavorativa dei pazienti” ha spiegato Lane Koenigeconomista sanitario della società KNG Health Consulting, coautore dello studio. “Questa ricerca haconsentito di quantificare questi oneri, fornendo una stima che potrà essere molto utile neireparti di Ortopedia che dovranno valutare le indicazioni al trattamento chirurgico”.

 

Bibliografia:
Mather RC, Koenig L, Acevedo D et al, The Societal and Economic Value of Rotator CuffRepair. J Bone Joint Surg Am, 2013 Nov 20;95(22):1993-2000

Scoliosi in adolescenza, il busto evita di arrivare all’intervento chirurgico

Dal “New England Journal of Medicine”

La prescrizione di un busto correttivo in adolescenti con scoliosi idiopatica riduce laprobabilità che questa condizione progredisca fino al punto da richiedere un intervento chirurgico:è quanto risulta da un nuovo studio denominato Bracing in Adolescent Idiopathic Scoliosis Trial(BrAIST), pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” e firmato da Stuart Weinsteine colleghi dell’Università dell’Iowa, negli Stati Uniti.

Nello studio sono stati arruolati 383 soggetti afferenti a 25 istituti degli Stati Uniti e delCanada tra il marzo 2007 e il febbraio 2011, inizialmente randomizzati a indossare il corsetto, esuccessivamente in parte lasciati liberi di scegliere se indossare o meno il busto. I pazientiinclusi nel braccio di trattamento hanno avuto istruzione di portare il corsetto per 18 ore algiorno, mentre quelli non inclusi, che costituivano il braccio di controllo, non hanno ricevutoalcun trattamento.

Il trattamento era considerato inefficace quando una curva progrediva fino a 50 gradi od oltre,valori per i quali tipicamente è raccomandata la chirurgia. Per contro, il trattamento eraconsiderato efficace quando il paziente raggiungeva la maturità scheletrica senza arrivare a questogrado di severità della curva.

Nel gennaio del 2013, il trial è stato interrotto dopo aver constatato che indossare il corsettoriduceva significativamente il rischio di progressione della curva e la necessità d’interventochirurgico. Inoltre, un maggior numero di di ore di corsetto indossato era direttamente correlato aun maggior tasso di successo.

Complessivamente, nel gruppo di trattamento il successo è stato raggiunto nel 72 per cento deicasi; più in particolare, indossare il corsetto per più di 13 ore al giorno aumentava il tasso disuccesso fino a oltre il 90 per cento. Per confronto, solo il 48 per cento del pazienti nel gruppodi controllo e il 41 per cento dei pazienti del gruppo di trattamento tra i pazienti cheindossavano il corsetto solo saltuariamente hanno ottenuto un risultato soddisfacente.

 

Bibliografia:
Weinstein S.L., Dolan L.A. , Wright J.G., Dobbs M.B., Effects of Bracing inAdolescents with Idiopathic Scoliosis. New Eng J Med, 19 settembre 2013

Screening e terapia preoperatori dello S. Aureus meticillina-resistente

 pazienti dovrebbero essere sottoposti a screening pre-operatorio per la ricerca dello Stafilococco Aureus meticillina-resistente (MRSA) e i pazienti positivi dovrebbero esseretrattati prima del ricovero al fine di ridurre il rischio di infezione del sito chirurgico (SSI).E’ quanto si conclude in uno studio pubblicato a gennaio su The Bone and Joint Journal.

Italiano

Staphylococcus aureus è infatti una delle principali cause di SSI. Va sottolineato aquesto proposito come, negli ultimi dieci anni, si sia registrato un aumento di casi resistentialla meticillina. Il MRSA è una sottopopolazione del batterio che presenta caratteristiche unichedi resistenza e di virulenza. Si è dimostrato che la colonizzazione nasale sia con S. Aureussia con MRSA rappresenti un importante fattore di rischio associato allacrescente incidenza e gravità delle SSI dopo chirurgia ortopedica. A questo si aggiunge il maggioreonere economico relativo alla SSI dopo chirurgia ortopedica: questa, quando associata con MRSA,porta a ricoveri più lunghi e a maggiori costi ospedalieri. Anche se vi è una certa polemica circal’efficacia dei programmi di screening e di eradicazione, la letteratura suggerisce quindi, al fine di ridurre ilrischio di SSI, di sottoporre i pazienti ad esami per la diagnosi di MRSA e di trattare i positiviprima del ricovero chirurgico.

BIBLIOGRAFIA
Goyal N et al, J Bone Joint 2013; 95-B :4-9

Nuova ricerca su obesità e protesi d’anca

Fonte: Clinical Orthopaedics and Related Research

I ricercatori dell’Università dell’Iowa hanno realizzato una ricerca per indagare su quanto il peso di un paziente possa influire sul danneggiamento delle protesi d’anca e i risultati, da poco pubblicati all’interno del Clinical Orthopaedics and Related Research, mostrano che i pazienti obesi hanno molte più probabilità di incorrere in problemi legati al deterioramento delle protesi.

Simulando in laboratorio la lussazione dell’anca il team di ricercatori ha, infatti, constatato che una elevata circonferenza della coscia crea nei pazienti obesi con Indice di Massa Corporea <40 una più importante instabilità dell’anca.

“Abbiamo dimostrato che nei pazienti afflitti da obesità patologica la cosce di grandi dimensioni esercitano una forte spinta verso l’esterno aumentando le possibilità che l’impianto fuoriesca dal proprio supporto – ha dichiarato il primo autore dello studio pubblicato su Clinical Orthopaedics and Related Research – i nostri studi hanno dimostrato che il tasso di dislocazione nei pazienti obesi aumenta fino a 6,9 volte rispetto a pazienti normopeso”.

La ricerca è disponibile al seguente link http://www.springerlink.com/content/vp547810883lnn02/?MUD=MP

Bibliografia: 
Elkins JM, Daniel M, Pedersen DR, et al. Morbid obesity may increase dislocation in total hip patients: a biomechanical analysis. Clin Orthop Rel Res. Published online ahead of print Aug. 21, 2012. doi:10.1007/s11999-012-2512-3.

Premenopausa: un aiuto alle ossa dalla ginnastica

Fonte: The Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism

Secondo una ricerca realizzata dai ricercatori del Center of Excellence for Osteoporosis Research in collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università King Abdulazuz in Arabia Saudita, le ossa delle donne in premenopausa che svolgano una moderata attività fisica per almeno 2 ore al giorno godono di una salute migliore rispetto all’apparato scheletrico delle coetanee sedentarie.
“L’attività fisica, anche leggera, può essere davvero molto utile per ridurre il rischio di osteoporosi e fratture – ha dichiarato Mohammad-Salleh Ardawi M, autore della ricerca – I risultati del nostro studio dicono chiaramente che anche piccoli sforzi costanti hanno avuto un riscontro positivo sui livelli sclerostina, IGF-1 e markers del turnover osseo.”
La ricerca, durata 8 settimane, é stata condotta su un campione di 58 donne occupate in un’a ttività fisica per 4 giorni alla settimana; i loro livelli di densità ossea, di sclerostina e di IGF-1 sono poi stati messi a confronto con i valori di un campione di 62 donne sedentarie.
È così emerso che l’attività fisica riduce i livelli di sclerostina del 36,8% mentre è stato riscontrato un aumento del 107% di IGF-1, l’ormone di natura proteica che favorisce l’attività degli osteoblasti, aumentando il trofismo osseo.

Bibliografia: 
Ardawi M-SM Rouzi AA, Qari MH. Physical activity in relation to serum sclerostin, insulin-like growth factor-1, and bone turnover markers in healthy premenopausal women: a cross-sectional and a longitudinal study. J Clin Endocrinol Metab. 2012. Published online before print Aug. 3, 2012. doi:10.1210/jc.2011-3361

Rapporto tra massa muscolare e ossa

Pubblicato un nuovo studio sul Journal of Bone & Mineral Research

E’ ormai universalmente noto come la perdita progressiva della massa muscolare e della densità ossea siano entrambi effetti dell’invecchiamento, ma esistono ancora pochi studi sul rapporto esistente fra la salute della massa muscolare e quella delle ossa. A questo proposito è stato pubblicato di recente sul Journal of Bone & Mineral Research uno studio [1] dal quale sono emerse a riguardo notevoli differenze fra uomini e donne.

“I risultati del nostro studio si vanno ad aggiungere alla crescente mole di dati già esistenti a sostegno della rapporto complementare fra ossa e muscoli e getta nuova luce sui potenziali biomarcatori che possono dare indicazioni sulla salute dell’apparato musculoscheletrico” ha dichiarato uno degli autori, Nathan LeBrasseur, del Dipartimento di Medicina Fisica e Riabilitazione presso la Mayo Clinic.

I ricercatori hanno esaminato la storia clinica di 272 donne e 317 uomini di età compresa fra i 20 e i 97 anni studiando il rapporto fra la massa muscolare e forza e struttura delle ossa riscontrando come nelle donne ci sia una forte connessione fra la microarchitettura dell’osso trabecolare degli avambracci, ad alto rischio di frattura in caso di osteoporosi.
È stato inoltre rilevato che più è elevato il livello di proteina IGFBP-2 circolante, più diminuisce la dimensione della massa muscolare.

“Abbiamo riscontrato che la proteina IGFBP-2, già collegata alle fratture di natura osteoporotica negli uomini, è un biomarker negativo per entrambi i sessi – ha detto ancora il Dott. LeBrasseur – e questa scoperta potrebbe essere utile per individuare le persone particolarmente a rischio fratture in caso di cadute”.

Fonte: Science Daily

Bibliografia:
1. Nathan K. LeBrasseur, Sara J. Achenbach, L. Joseph Melton, Shreyasee Amin, Sundeep Khosla. Skeletal muscle mass is associated with bone geometry and microstructure and serum IGFBP-2 levels in adult women and men. Journal of Bone and Mineral Research, 2012; DOI: 10.1002/jbmr.1666

Pazienti anziani: il citrato di potassio migliora la densità ossea

ricercatori hanno verificato l’azione degli alcali nel contrasto del declino dell’apparato osseo utilizzando due metodi di imaging osseo,la mineralometria ossea computerizzata (MOC) solitamente impiegata per la misura della densità minerale ossea per la diagnosi della osteoporosi e la Tomografia computerizzata (CT).

Sigrid Jehle, MD, dell’Università di Basilea in Svizzera, insieme ai colleghi ha condotto lo studio randomizzato, in doppio cieco, su 201 pazienti con più di 65 anni, a tutti sono stati somministrati calcio e vitamina D, a 101 pazienti è stato somministrato inoltre potassio citatro per via orale (60 mEq) mentre i restati 100 hanno ricevuto il placebo.

Dall’analisi dei risultati è emerso che il citrato di potassio ha favorito l’aumento della densità minerale ossea a livello della colonna lombare dell’1,7% rispetto al livello basale, dopo 24 mesi rispetto al placebo. Inoltre la Tomografia computerizzata ha misurato un aumento del 1.3 %della densità trabecolare.

Il dr. Jehle e i collegh al termine dello studio hanno concluso che il citato di potassio somministrato a pazienti anziani, in buona salute con massa ossea normale, già assuntori di integratori di calcio e vitamina D, possa quindi essere un valido aiuto per aumentare la densità minerale ossea e la densità trasecolare.

Bilbiografia: Jehle S. J Clin Endocrinol Metab. 2012;doi:10.1210/jc.2012-3099.

La tecnica DPS è efficace per la riparazione percutanea dinamica del tendine d’Achille rotto

La tecnica di ” sutura dinamica percutanea” (DPS), una variazione della tradizionale riparazionepercutanea del tendine d’Achille rotto, permette da un lato di ridurre il tasso di complicanzerispetto a interventi a cielo aperto, dall’altro di avere un basso tasso di ri-rottura e unamobilizzazione precoce che consente di ritornare prima all’uso dell’articolazione a pieno carico ealle attività motorie soprattutto in sportivi professionisti. E’ quanto emerge da uno studiorecentemente pubblicato sulla rivista European Journal of Orthopaedic Surgery &Traumatology. Nello studio sono stati coinvolti 80 pazienti (52 uomini e 28 donne), di cui10 atleti professionisti. Con la nuova tecnica DPS si praticano 10 micro-incisioni, 5 laterali e 5mediali alla parte posteriore del tendine, e si usa sutura riassorbibile. I pazienti sono stativalutati secondo i criteri stabiliti dal punteggio di valutazione clinica AOFAS. Non si sonoverificati ri-rotture o danni al nervo surale. In tutti i pazienti trattati, i risultati ottenutisono stati valutati da buono a eccellente. Un paziente ha avuto lievi disturbi della sensibilitàsui talloni laterali (completamente risolto in 2 mesi), e in due pazienti sono state riscontrateaderenze cicatriziali. La sutura assorbibile ha portato a una guarigione “dinamica” del tendine,attraverso un fissaggio “elastico” dei due monconi. In 8-12 settimane i pazienti sono ritornati apraticare attività sportiva.
BIBLIOGRAFIA
L. Gaiani, R. Bertelli, M. Palmonari (2012) EJOST 22(8):709-712